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In un nastro di Moebius…l’insetto che percorre la superficie… può credere in ogni momento che sia una faccia che non ha ancora esplorato, quella che è il rovescio della faccia che sta percorrendo. L’insetto può credere a questo rovescio, benché di fatto non ci sia… Senza saperlo, esso esplora l’unica faccia che c’è, eppure, in ogni momento, c’è anche un rovescio

(Jacques Lacan, Seminari 1962-63, p.148)

… In un nastro di Moebius…”

L’insetto – di cui Lacan descrive lo spostamento lungo il tragitto sulla superficie di un nastro di Moebius – evidentemente ci rappresenta. Rappresenta il nostro consapevole avanzare lungo il tragitto del tempo del nostro vivere, a occhi aperti, vigili, rivolti a ciò verso cui andiamo.

Il nastro ha però un rovescio.

Sotto e dall’altro lato del nastro su cui scorre il mio tragitto, si dà infatti dell’altro, si dà un nascosto in parallelo. Ma questo nascosto in realtà mi attende, sarà prima o poi anch’esso svelato attraversato nel mio scorrere nell’”unica faccia che c’è” in realtà del nastro.

Imprendibile e onnipresente sempre c’è cioè un rovescio. Nascosto e quindi inconscio, ma anche insieme attualmente presente, sia pure nel lato nascosto. Attualmente presente quindi come inconscio. Ma anche sempre in attesa di essere a sua volta attraversato, più avanti, per cui l’avanzare verso il rovescio, che in qualche modo perciò è sempre prima o poi raggiunto, è peraltro anche uno spostare il rovescio sempre un po’ più avanti, tenendolo comunque sempre nascosto sotto. Si rincorre così sempre il rovescio, come rincorrere la propria ombra.

In quanto è impossibile stare insieme sopra e sotto la superficie su cui si scorre, mai la superficie sarà rovescio. Ma – d’altro lato e insieme – nessun punto della superficie del nastro sarà tuttavia per sempre rovescio. Prima o poi – questo è il nastro di Moebius – ogni punto del rovescio sarà superficie su cui si passa.

Se da un certo punto di vista il rovescio è quindi l’ora inaccessibile, dall’altro sarà sempre raggiunto e oltrepassato (e, in linea teorica, tutto ciò pure più volte).

Fuor di metafora, l’altro lato del nastro è l’alterità inaccessibile su cui, sopra e accanto a cui pure scorriamo. Ma che non vediamo. Essa è un’assenza.

Assenza che tuttavia diventerà presenza, pur sempre insieme ad altra diversa ulteriore assenza.

Grovigli

Tutto ciò è di certo un (bel) groviglio.

Uno dei tanti, peraltro, che Lacan ci espone. Insinuandoci spesso persino il dubbio che a seguirli, questi grovigli, non si stia che girando a vuoto, o in tondo, come in fondo si farebbe percorrendo la superficie di un nastro di Moebius.

Lacan dunque: Lacan l’eretico fedele a Freud, Lacan l’istrione, Lacan la voce che attira le folle ai seminari, Lacan l’enigma, Lacan l’oscuro ostico illeggibile, Lacan che non chiede imitatori, Lacan che squaderna le facce del desiderio su cui invita a non transigere nel mentre tace il suo.

I miei Scritti non li ho scritti perché venissero capiti, li ho scritti perché vengano letti. Che non è per niente la stessa cosa”. Così scrive Lacan e non è una boutade, una presa in giro, uno dei suoi non infrequenti motti di spirito. Anzi, l’indicazione è preziosa, va presa sul serio. Può significare che leggere i suoi scritti non è solo decodificare significati, ma è un incontro, è immergersi in un’esperienza, un’esperienza del simbolico, di linguaggio.

Leggere Lacan non lascia perciò indifferente, così come non lascia indifferente nessun incontro significativo. Leggere Lacan non lascia uguali a così come si era prima.

Incontrare la sua scrittura è l’incontro con un discorso tortuoso, perché è discorso che intende accostarsi all’inconscio seguendone la figura tortuosa. E’ linguaggio in ascolto della verità in cui l’inconscio consiste, cercando di corrispondere all’irrappresentabile che pur l’inconscio è. Discorso dotto, alchemico, algebrico. Forse a volte ironico. Magma discorsivo in cui emergono enigmistica, rebus, giochi di parole. Discorso su specchi, e bambini giubilanti nello scoprirsi riflessi in essi, discorso su macchine e schemi ottici, su evanescenze. Discorso su matemi aggrovigliati, flussi joyciani di parole alla Finnegans Wake, topologie matematiche, quadri surrealisti. E ovviamente discorso su casi clinici, e testi freudiani. E dunque su sogni, lapsus, atti mancati, motti di spirito. Ma pure su metonimie e metafore. Discorso alludente alla linguistica, allo strutturalismo, alla filosofia (Heidegger, Foucault, Sartre e Merleau Ponty, Kant a braccetto con Sade, Platone e il suo Simposio a pluristrati). Infine discorso su nodi: letteralmente nodi. Nodi araldici o da marinaio, materialmente da aggrovigliare e sciogliere. Discorso su significati. Ma altrettanto su significanti. In un’apparente baraonda che allude a ambivalenze, nel dubbio a volte di essere presi presi in un gioco surrealista.

Ma a lasciar sedimentare tutto ciò una volta letto (e magari, come Lacan stesso sa e ci dice, persino non capito) più di un senso, in più di un senso, si impone e balena.

(altro…)

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