(…)
Dietro il niente, il niente che Socrate ha rivelato essere, ma che non è quindi forse nulla più che di Socrate un’ennesima maschera, balena altro ancora, balena un altro Socrate ancora Un altro Socrate dentro un Socrate che è dentro Socrate. Come il sileno costruito dagli scultori che aperto rivela ben altro al suo interno cui già Alcibiade accenna paragonandolo a Socrate, come una matrioska Socrate si ribadisce atopico, indecifrato.
- Giochi di coppie (con Socrate al centro)
Anche Agatone è stato però da Socrate chiamato in causa. Anche lui dovrà quindi scegliere. Ed esplicitamente, allontandandosi da Alcibiade e spostandosi a destra vicino a Socrate ora alla sua sinistra, col suo gesto la sua scelta sarà per Socrate.
Certo, forse lo fa per evitare – nel caso avesse scelto Alcibiade rimanendo al suo posto – di dover ora quindi egli fare, per la regola del convito che implica passare parola a destra, a sua volta elogio a Socrate. Ma Agatone è stanco, brillo. Scegliendo Socrate, inoltre, il tema scelto da Alcibiade (elogiare Socrate) non può aver seguito. Scegliendo Socrate, Agatone consente di ritornare là dove il convito era approdato, di tornare al gioco regolato del parlare d’amore (e non più di un individuo, Socrate)
Ma così é sempre Socrate che dunque resta al centro. Se il gioco deve ora riprendere toccherebbe inoltre a Socrate parlar di nuovo
- La baraonda e il sonno
A questo punto il rito però bruscamente si interrompe e cessa.
Irrompono infatti d’improvviso molte altre persone, questa volta senza indugiare alla soglia, portando grande trambusto.
Senza più regola alcuna, a questo punto tutta l’alterità precedentemente espulsa, per consentire adeguato e iniziatico discorso d’amore nel rito del dire regolato, in questo modo dilaga portando confusione nella stanza ove Eros, elogiato addomesticato, aveva e ha steso il suo incanto.
Si beve allora moltissimo vino e il convito finisce, nel crollo infine di tutti nel sonno.
All’alba solo Agatone, Aristofane e Socrate discutono ancora, con Socrate che li convince di come siano lo stesso il tragico e il comico (alludendo anche in questo riferimento al comico ed al tragico a qualcosa in cui amore c’entra) finchè anche Agatone e Aristofane sono vinti dal sonno.
- Socrate il sole, il vincitore solo
Vinti dal sonno, e a questo punto anche da Socrate che, unico, esce alla fine dalla stanza e se ne va all’aperto. A fare e essere, come sempre, Socrate. Il solito, atopico, Socrate.
Socrate, vincitore dunque.
Ma solo.
Socrate splendente come un sole che si alza al mattino. Ma solo, perchè Alcibiade – l’amante che vorrebbe essere a sua volta amato – ha tessuto la sua trama inutilmente. D’altronde ciò che Alcibiade amava davvero in Socrate – questo è ormai chiaro – è solo una maschera, sono di Socrate solo i discorsi.
Ma in questa forma d’amore, Socrate – lo si è svelato – è niente.
Anche perciò è impassibile, anche perciò è freddo al punto da spingere Alcibiade a dirigere il suo eros su Agatone, su un Agatone qualsiasi.
- Elogio di Alcibiade (e Socrate)
Socrate ha ricevuto comunque il suo appassionato elogio.
Anche Alcibiade tuttavia merita elogio.
Nel suo profondo discorso – lucido ed ebbro – Alcibiade lo ha mostrato: egli ha amato, ha capito, non ha smesso di amare. Ha perciò imparato Ha vissuto la sua iniziazione. In fondo ha forse capito che se Socrate avesse ceduto, se anche Socrate avesse davvero ceduto e amato, avrebbe allora scoperto che Socrate non è soltanto e solo niente, ma è anche altro. Altro oltre i bei discorsi che tanto ammaliano la gente, altro oltre la maschera dietro cui c’è niente.
Anche Socrate – questo si svelerebbe – è, o è stato uomo come tutti gli altri, fragile nell’essere al desiderio anch’egli esposto.
Socrate questo lo sa. Socrate ha perciò da tempo questo capito: questa scoperta è inopportuna, se si vuole l’iniziazione e l’amore che, acchè essa sia, il discepolo deve al maestro.
Socrate lo sa. Perciò si nega nella sua intimità.
A costo di apparire – o essere – quasi un automa, privo di carne e vita, che non sia forse la forza, in un caos dominato, di una follia nascosta in una atopìa assai strana. Una follia tuttavia ben lucida. Una follia benevola, volta a indirizzare, pagando un prezzo, anche Alcibiade lungo una propria strada, che sia capace di più che di cercare un niente.
- L’abisso
Socrate si rivela cioè pur sempre maestro.
Socrate cioè, per quanto in modo obliquo, come ogni maestro pur sempre ama. Socrate è cioè filo-sofo, laddove la philìa è amore. Ma in Socrate, anche in Socrate come tutti, proprio perciò cova mancanza, cova anche un interiore abisso, una nostalgia, quella che trapela in evidenza nel riferire della sapienza di Diotima la sacerdotessa sì, ma anche donna e enigma.
Socrate cova cioè un segreto, che è ben più che niente, un segreto che solo un amante che, come Alcibiade, si metta a nudo potrebbe porre a nudo.
Socrate tale segreto cela.
Svelarlo è rischio, il rischio sì di fallire l’iniziazione che il discepolo, sedotto da tal segreto, chiede. Ma anche il rischio di esporsi lui – anche lui, Socrate – al possibile rifiuto di un discepolo deluso da un troppo umano abisso forse così allora visto.
Sottrarsi a questo rischio è – così insegna Socrate – forse l’opportuno.
Accettare il rischio è arrivare a sapere il fondo, è’ abisso.
Lascia un commento