Auto-narrazione e epilogo
L’annunciata o proclamata morte della filosofia, le varie ipotizzate forme del suo oltrepassamento, il tramonto della metafisica e dei suoi immutabili, la marginalità socio-politica dell’etica e dei saperi filosofici: tutto ciò è contemporaneità.
Di ciò per lo più la filosofia è del tutto consapevole, tutto ciò spesso lo tematizza esplicitamente. In questa riflessione sulla sua possibile fine, la filosofia delinea insieme la vicenda che si va, forse, a concludere, cioè l’auto-narrazione della tradizione in cui essa consiste.
In tal modo, nel pensare sulla sua fine, ipotizza anche un inizio (per lo più in un certo luogo, la Grecia, e un certo momento, il VI secolo a.C.) per cui la fine non è che l’epilogo della vicenda che dalla radice greca dispiega l’Occidente per poi concludersi nel mondo (della tecnica) contemporaneo.
L’incontrovertibile
La filosofia, nel ritenere possibile la sua fine, si pensa quindi come una vicenda storica. Ma non come uno qualsiasi tra i tanti saperi sorti nel corso della storia umana via via escogitati dall’uomo per potere abitare il mondo.
Essa si reputa infatti sguardo volto all’intero, al tutto (all’essere): a ciò dunque oltre cui v’è nulla, che perciò da nulla potrà mai essere confutato. Si pensa quindi come il dire l’assolutamente vero, come sguardo in cui la verità si mostra. Unico e solo sapere incontrovertibile.
Ciò ha del paradossale: il sapere rivolto alla verità, che intende essere l’assolutamente stante, irrefutabile nella sua evidenza, si pensa anche come una vicenda storica, quindi contingente.
Avvicinarsi al vero
Ma paradossale è l’intenzione stessa del filosofare.
Il dire, in cui la filosofia consiste, è infatti una parte del tutto: lo sguardo che intenziona il Tutto. Ma la parte non può che rispecchiare il Tutto in parte, ossia astrattamente, nella contraddizione per cui il Tutto appare sì, ma non tutto, non concretamente. La parte in cui consiste lo sguardo filosofico inoltre, non potendo mai vedere il punto cieco in cui consiste il sè che guarda, mai potrà vedere tutto.
La filosofia perciò tende a qualcosa (la verità sul tutto) che mai potrà raggiungere (se non astrattamente, se non prospetticamente). Perciò della verità non può che essere ricerca, al più storico asintotico accostamento al vero.
Dubbio ed enigma
Tendendo all’intero, la filosofia non concede inoltre presupposti.
Perciò li mette in dubbio tutti (lo scetticismo le è essenziale). E il suo paradossale dire in una parte il Tutto la spinge a focalizzare ciò contro cui il dire cozza: i limiti, i nodi aporetici, le pieghe, i margini del reale e il dire.
Qui il pensiero incontra i problemi, le situazioni- limite, le tautologie e le contraddizioni che anche lo innervano.
Qui anche è la filosofia: là dove l’enigma si staglia.
Il filosofo ad esso si accosta, vi si accasa. Talvolta lo scioglie, ma solo per ritrovarne un altro, un poco oltre.
Le altre vie
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