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Posts Tagged ‘filosofia del linguaggio’

„Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre
fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile.“
(Woody Allen)

***

Accade… Tra le parole e i convenevoli che si dispiegano nello spazio delle relazioni sociali qualcuno fa una battuta di spirito. Una parola azzeccata, un gioco di parole, un gesto, induce un sorriso (o un ghigno), magari fa prorompere una risata. Qualcuno – si dice in tali casi – fa dell’umorismo.

Si insinua allora, o irrompe, un quid che marca la comunicazione. Sia che ciò abbia una funzione eversiva rispetto all’ordine del discorso che si sta articolando o che – come in alcuni copioni sociali è – sia invece magari pure richiesto o previsto, comunque, quando nel discorso in tal modo entra dell’umorismo, nel fluire della relazione una nuova nota suona, si apre uno stacco.

Qualcosa apre un varco.

Dell’altro entra in scena.

O-scena allegria

Qualcuno – interloquendo con altri entro un contesto – con un gesto o a parole, in modo diretto o con più o meno velata ironia, svela allora del mondo, del solito mondo in cui si dipanano i consueti copioni, un lato che stava fuori la scena (in qualche modo perciò lato o-sceno): il lato comico, divertente, umoristico.

Un gioco di parole, un incrocio di significanti in un lampo scoprono allora un nesso tra significati che lo sviluppo del discorso atteso e prevedibile invece tendeva a tenere distanti. Un fatto di linguaggio incrina in tal modo, o scompagina, serietà e posatezze. Qualcosa si mostra, in realtà incongruente ma non poi così tanto, inducente al sorriso o al riso: energie compresse incidono – nel sorriso in un abbozzo di gesto e apertura, o nel riso scuotendolo – sul corpo vivo dei parlanti smossi in tal modo da una energia: si ride.

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Ma il pellegrino dal pendio sulla cresta del monte non

porta a valle una mano piena di terra, indicibile a tutti,

ma una parola conquistata, pura, la gialla  e celeste

genziana. Noi siamo qui forse per dire: casa,

ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutto, finestra, –

al più: colonne, torre… ma per dire, capisci,,

per dire così, come mai le cose stesse

intimamente sapevano d’essere.

(Rainer Maria Rilke Nona Elegia Duinese, vv29-36)

***

Se, riflettendo, si presta attenzione a ciò che davvero intesse la trama della nostra esistenza non si può – per ciò stesso  – che ascoltare parole. Ci si accorge, con ciò, che esse – le parole – avvolgono la nostra vita e il suo senso.

Le parole dei poeti hanno a che fare – in modo eminente, pertinente, profondo – con questo dire e ascoltare, che è tra quanto ci è di più proprio.

Tra i poeti, è Rilke una tra le voci più esplicite nel dire la cosa in cui consiste questo nostro dire le cose (tra le quali, appunto, la cosa del dirle), ossia nel dipanare un dire che assecondi l’urgenza di dire sul dire. E Rilke arriva a dirlo chiaro, netto: noi siamo i parlanti, siamo qui per dire le cose. E per dirle in maniera assoluta, epifanica, come “mai le cose stesse intimamente sapevano d’essere”. Perciò ogni cosa, in tal modo, è dalla parola, dalla nostra parola, essenzialmente, avvolta. Ed esposta, così, nel suo statuto di cosa.

Rilke ci dice quindi – tra i primi a inoltrarsi nello snodo di quella che il pensiero ha chiamato la “svolta linguistica”, caratterizzante la temperie del pensare radicale della filosofia del nostro tempo – che l’esperienza dell’uomo è linguaggio. Che l’ambito umano è là (ossia: qui) dove si impongono i nomi.

***

Qui, cioè, “è il tempo del dicibile, qui è la sua casa” (Nona Elegia, v.43).

download (1)Qui. Ossia nel tempo qui ora. Ma anche: qui quale luogo in cui siamo. Ossia nella casa del dicibile. Che poi, in quanto anche noi i parlanti siamo in certo senso dei luoghi, è qui nel senso di luogo che noi stessi siamo.

Qui dunque, in questo tempo, è casa: spazio familiare entro cui, anche dicendo, ci orientiamo e ci proteggiamo. E – così ci dice, soppesando parole, il poeta – diciamo appunto “casa”. E “ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutto, finestra”. Al limite “colonne, torre”.  E poi certo – seppure queste da Rilke elencate non siano parole scelte a caso, perché ognuna di esse, a ben vedere, tocca ed esprime una specifica struttura ed essenza dello spazio in cui abitiamo – diciamo tutti gli altri nomi e tutte le altre parole.  E ognuna col suo peso specifico nel delineare un tratto essenziale del mondo (come per esempio, stando alle parole scelte da Rilke, il ponte è transito e relazione; torre e colonne stanno e sostengono; la fontana è origine… E detti sono pure natura, strumento, apertura).

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