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Posts Tagged ‘fenomenologia del desiderio’

L’assenza e la traccia. L’altrove presenza

Laddove vi è desiderio c’è – incisa in chi desidera – mancanza.

Vi ‘è inoltre assenza: quella dell’oggetto dal desiderio investito.

Ma se c’è assenza, dell’assente – l’oggetto del desiderio investito dall’intenzione in cui il desiderio consiste – deve esservi cenno, deve esservi traccia. Incisa in chi desidera è quindi una traccia che sancisce una mancanza, la mancanza che segna il soggetto del desiderio.

Senza di essi – il cenno, la traccia – non vi sarebbe nemmeno l’assenza. Ma la traccia accenna insieme anche a una presenza: la presenza dell’altro

Nella dinamica del desiderio non c’è dunque solo mancanza. Nella dinamica del desiderio deve essere inscritto anche qualcosa che c’è.

Deve essere infatti in gioco anche l’energia senza cui il desiderio si spegne. Ma non solo: l’energia, se c’è desiderio, deve essere inoltre alimentata orientata da qualcosa di altro ancora che a sua volta c’è: la traccia. La traccia che è rinvio, a sua volta, a qualcosa di altro ulteriore ancora, che anch’esso pure c’è: altra altrove presenza, che fa cenno di sé da altro luogo, altro da me.

Nelle mani dell’altro

Finché si desidera anche l’appagamento è assente. E’ altrove, non è qui ora. E’ sempre più in là: da venire.

Ma l’appagamento anelato – costitutivamente assente nel desiderio finché è desiderio – è agognato solo in quanto è in vista. Solo in quanto intravisto quale qualcosa che è stato, potrebbe essere, potrà essere presente si può fare desiderare.

Se è vero che l’oggetto del desiderio non può non essere pensato che altrove, tuttavia deve essere tale che da lì, là dove è in qualche modo esistente, ci dà sua notizia e ci lancia il suo cenno.

Perciò il desiderato non è solo un mio fantasma. Non è riducibile a allucinazione di un mio delirio. Non è mai solo mia rappresentazione.

E’ perciò che in qualche modo si fa desiderare di suo. Ha entità e una forza attrattiva sua propria.

E’ perciò che nel desiderio c’è arrischio, e non poco: la traccia dell’altro mi mette anche sempre nelle mani dell’altro, nelle mani di un altro.

L’inesaudibile

Nella misura in cui l’oggetto del desiderio è dunque di suo quella tal forma che di suo ci fa cenno e in quanto è quindi e resta sempre un autonomo altro, può perciò anche sempre sottrarsi.

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download (3)Il corpo che io sono parla.

Nel suo codice (da decifrare) parla agli altri. Nel suo codice (da decifrare) mi parla, parlando a me stesso e a sé stesso. Per sensazioni, stimoli, sintomi…

Sintomi

Quando si insedia la malattia, una nuova presenza, non voluta, si colloca senza preavviso all’interno del corpo. Qui il suo lavorìo sensibilizza zone somatiche prima sostanzialmente inavvertite. Qui vi disloca per lo più il dolore, in varie forme e intensità.

La malattia richiama così – mettendo in allarme i sensi e risvegliando propriocezioni prima appena adombrate – l’attenzione sul corpo, al punto da rivelarcelo scomodo. Il senso interno che ausculta – per lo più in modo attutito – il corpo, ora amplifica la presenza del punto o la zona che la malattia ha invasa.

Innervazioni, viscere, flussi, punti di giuntura, tensioni muscolari: i luoghi e eventi del corpo che sono ora, nella malattia, sensibilizzati sono dei dentro. Ma – nella condizione in cui vivere il proprio corpo come insidiato e aggredito da un male ci getta – si percepiscono come se fossero fuori.

Quando si insedia la nuova presenza, ci si percepisce in modo diverso, come un altro da sé: come alienati.

Malattia è perciò (anche) esperire il proprio corpo in modo espropriante e dolente.

L’intruso

La malattia trasforma così innanzitutto il rapporto col corpo. Porta fuori – all’attenzione del sentire sé stessi – quel che era, dentro, attutito e inavvertito.

Ciò che si è, la propria identità, prende così spicco in un modo inconsueto e sgradito. Nella distanza che si apre tra il corpo di chi se lo sente malato ed il mondo ad esso esterno che è del tutto estraneo alle percezioni che invadono lo spazio circoscritto del sè, l’io che si è si racchiude nel percepire in sè un intruso.

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