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Conoscere sé per mezzo dell’altro

Amavo Socrate nella convinzione che toccasse a me – se mi concedevo a Socrate – di ascoltare proprio tutto quello che costui sapeva”

(“Simposio”, discorso di Alcibiade)

Nella vicenda amorosa, alimentata dal desiderio e sostenuta da indizi di una promessa possibile, l’amante vuole dunque avere accesso alla trasparenza di tutto l’amato. E questo accesso lo vuole (r)assicurato, ancorato a un “per sempre”.

A tal fine l’amante interpella, parla, chiede, progetta, escogita, pensa. Si arrovella perciò nel tentativo di indirizzare il discorso, lo propone, cerca così di intessere dialogo e di alimentare in tal modo una storia. Ma, nonostante tutte le intenzioni e accortezze, il discorso d’amore può essere governato e dominato solo in piccola parte.

L’amante vorrebbe infatti svelare l’amato in trasparenza assoluta, catturarne il segreto, ma l’amato – finché è desiderato – sfugge alla presa. Si desidera infatti solo quanto non si possiede e l’amato desiderato resta – finché il desiderio lo agogna – in quanto tale non colto nel suo prezioso segreto. Questo segreto alimenta la vicenda d’amore, per cui le parole (e quindi i significati delle singole azioni) nella trama del discorso e della storia d’amore non possono avere mai chiaro e univoco senso, ma possono solo alludere a quanto significano. In gran parte dunque anche sviano e nascondono.

Perciò nella vicenda e nel discorso d’amore nessuno governa la cosa, men che meno l’amante. Quanto accade è quindi sempre anche altro da quanto è ordito. Le parole e le azioni innescano cioè sempre anche altro da quanto, peraltro confusamente, è auspicato. Di questo altro il discorso e la vicenda amorosa sono la cifra, che non scioglie l’enigma.

L’amante è cioè dominato da una potenza, che lo attrae e che egli attribuisce all’amato. Perciò vuole conoscere dell’amato tutto: perché vuole sapere della figura e del segreto di questa potenza – in quel tutto intravista – che così tanto lo attrae. Ma, nel perseguire questo intento, non ha in realtà mai esperienza di tale potenza, che ritiene essere altra da sé. Quel che davvero l’amante esperisce, quel che gli accade davvero è invece inevitabilmente esperire (e quindi in qualche modo conoscere) innanzitutto una parte di sé: quella parte che, essa potenza, a contatto con la supposta potenza dell’altro, si accende e si espande.

L’interesse, colmo di desiderio, è guidato quindi, in tal modo, sì dalla ricerca dell’identità dell’amato. Ma questa ricerca è piuttosto occasione e pretesto per percorrere in realtà altra via, nella quale la vera posta in gioco del desiderio attivato si mostra. L’unica via percorribile, l’unica che dunque per davvero sia in gioco, è infatti quella che porta a conoscere quella specifica parte di sé che è attratta e potenziata dalla specifica forma di potenza nell’amato intravista.

Nel conoscere e accedere a tale potenza il rapporto d’amore si svela essere in realtà mezzo per conoscere . (altro…)

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