Se ora tu bussassi alla mia porta
e ti togliessi gli occhiali
e io togliessi i miei che sono uguali
e poi tu entrassi dentro la mia bocca
senza temere baci diseguali
e mi dicessi “Amore mio,
ma che è successo?”, sarebbe un pezzo
di teatro di successo.
(Patrizia Cavalli)
***
L’Haiku é componimento poetico tipicamente giapponese.
Struttura metrica rigida: tre versi: cinque sillabe il primo verso, sette il secondo, ancora cinque il terzo. Estremamente breve, é sempre senza titolo.
In concisione assoluta- e grazie a tale concisione – nell’Haiku poche perfettamente appropriate parole squadernano, in due tre pennellate, il quadro di un attimo. In un lampo, un panorama si dispiega. Un istante del tempo, ossia uno stato del mondo si svela. Con pochi tratti lo dischiude al dire, come sbocciano i fiori.
Nell’Haiku sono quasi sempre precisamente indicati la stagione o il momento preciso della giornata di cui si dice, ma il momento indicato sta per tutti i momenti in cui lo stesso si apre.
Nell’Haiku ben scritto (e ben dipinto, poiché anche sempre calligrafato in ideogramma giapponese, che la traduzione alfabetica irrimediabilmente perde) vibra anche sempre un’emozione: quella che riverbera dal paesaggio descritto
***
mezzodì di piena estate
la morte con gli occhi socchiusi
guarda la gente
—–
io solo c’ero
Io solo. E fioccava
intorno la neve
—–
sole velato
perfino le creature celesti
si annoiano
—
***
Nel varco aperto dall’Haiku un mondo lampeggia in parola. Dentro la costrizione di una forma rigida e angusta (i versi 5-7-5) in frammento si riverbera un tutto.
L’Haiku è perciò uno spiraglio.
Da questo spiraglio freme un battito. In questo battito, un mondo appare. In questo apparire, per quanto a volte solo minimamente avvertito, qualcosa sempre accade
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