Nella sua “Conferenza sull’Etica” Wittgenstein ci propone esempi di proposizione etica.
Il primo esempio è: “Mi meraviglio per l’esistenza del mondo“.
Un secondo esempio è: “Sono assolutamente al sicuro, nulla può arrecarmi danno, qualsiasi cosa accada“.
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Entrambe le espressioni sono da intendersi in senso assoluto e perciò etico, ossia da concepirsi senza alternativa eticamente possibile.
Se potrebbe cioè aver senso meravigliarsi – come in effetti anche accade – nel senso, perciò relativo, di stupirsi per qualcosa che è così invece che altrimenti; la meraviglia che ha invece a che fare con l’etica non può che scaturire a fronte del non darsi di un’alternativa equipossibile. La meraviglia è in questo caso, come dire, meraviglia assoluta: un meravigliarsi per il ritrovarsi in uno spazio logico che è in fondo quello del sempre vero, cioè del tautologico.
Una meraviglia quale stupore di accorgersi di essere là dove si è, aperti certo a un mondo ove tutto è contingente ma radicati peraltro in una dimensione che sta, oltre ogni alternativa e altra possibilità.
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Oltre la contingenza è poi pure l’altra esperienza etica esemplare che Wittgenstein ci indica: quella di sentirsi al sicuro qualsiasi cosa stia capitando.
Anche questa proposizione è da intendersi in senso assoluto e non cioè nel senso che si sia al sicuro nel mentre si potrebbe non esserlo: questo riguarderebbe la contingenza del mondo, sarebbe usare la proposizione in senso relativo.
La proposizione intesa in senso assoluto significa invece che nulla può scalfire nè per davvero minacciare questo stare al sicuro. Per cui anche in questo caso non c’è alternativa. Nulla può stare al posto del nostro essere del tutto al riparo nell’essere che siamo e in cui siamo. Almeno nel qui e ora siamo al sicuro (ma che altro c’è oltre l’essere, in ogni qui e in ogni ora?).
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Dire tutto ciò – Wittgenstein lo riconosce – è in certo qual senso insensato (almeno nel senso in cui si parla del senso nel Tractatus), ossia paradossale.
Paradossale, ma tuttavia vissuto, esperito.
Tanto che anche se qualcuno non le avesse – tali esperienze etiche, in quanto aventi valore assoluto – mai vissute davvero (ma davvero non le abbiamo vissute?), comunque comprendiamo di cosa Wittgenstein parla quando ne parla. Anche se da lui, cioè, dissentissimo nel ritenere le proposizioni proposte non essere davvero proposizioni etiche o non essere magari le esperienze cui sono riferite effettivamente possibili, dissentiremmo sull’essere gli esempi proposti degli esempi appropriati, ma proprio perciò non sul fatto che un’esperienza per essere etica debba essere un’esperienza assoluta.
Esperienza assoluta di cui, per averne nozione, dobbiamo- in quanto esperienza – averne avuto appunto in qualche modo esperienza.
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Se dunque paradossale è dire e esperire – nella contingenza – una dimensione etica che è quindi assoluta, se paradossale è l’esperienza assoluta di un fatto che resta in quanto fatto di per sè contingenza, ciò vuol dire che paradossale non è poi che un altro modo per dire: miracoloso.
Così come in effetti Wittgenstein infatti esplicitamente ci dice: l’esperienza del meravigliarsi (in senso assoluto) – ce lo dice nella Conferenza – è vedere il mondo come un miracolo, così come nessuna scienza potrà mai fare.
Etico è quindi vedere il mondo quale meraviglioso miracolo, in cui siamo del tutto salvi, al sicuro. Salvi nel mondo, al sicuro, meravigliati.
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Quando ciò è detto – come appunto si sta qui, e nella Conferenza, facendo – il paradossale è anche parlarne, come paradossale – ci ricorda Wittgenstein – è parlare del linguaggio.
In fondo ciò implica – ci dice esplicitamente Wittgenstein – che “l’espressione giusta nella lingua per il miracolo dell’esistenza del mondo … è l’esistenza del linguaggio stesso“.
La meraviglia in etica è dunque anche come la meraviglia per l’esistenza del linguaggio in quanto tale. Linguaggio che è l’ambito del senso; trascendentale come l’etica con cui dunque, in certo senso, in fondo in qualche modo coincide, per lo meno nell’esigenza di forgiare la “giusta” espressione, la “buona” parola e nel sentirsi a casa, al sicuro – meravigliosamente al sicuro – nelle parole.
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Certo peraltro, così facendo (cioè attribuendo valore assoluto a certe esperienze, che sono sempre particolari, e a certe parole, che sono pur sempre sempre determinate) non possiamo purtuttavia negare – ci dice poi Wittgenstein – che “dicendo che un’esperienza ha un valore assoluto, intendiamo solo un fatto come un altro” per cui – aggiunge poi – “io vedo subito chiaro, come in un lampo di luce, non solo che nessuna descrizione pensabile per me sarebbe adatta a descrivere ciò che io intendo per valore assoluto, ma anche che respingerei ogni espressione significante che chiunque potesse eventualmente suggerire“.
Per cui dunque per parlare di etica non resta che, in certo senso, avventarsi contro i limiti del linguaggio.
Gli esempi proposti da Wittgenstein non possono dunque che essere questo avventarsi.
Un avventarsi contro le pareti della nostra gabbia linguistica che è – Wittgenstein prosegue – perfettamente, un atto assolutamente, disperato perché comunque mai l’etica potrà essere scienza, nè dunque conoscenza. (Configurando quindi – in questa impossibilità e mancanza del dare davvero forma linguistica precisa all’etica – magari il senso di un terzo esempio di proposizione etica cui Wittgenstein per un momento nella conferenza allude, ossia “Mi sento colpevole“)
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La posta qui in gioco – in questo dire – è assai alta.
“Se un uomo potesse scrivere un libro di etica” infatti “questo libro distruggerebbe, con un’esplosione, tutti gli altri libri del mondo“. Anche questo ci dice Wittgenstein.
Nel lampo di tale esplosione si aprirebbe allora forse il silenzio pieno di senso, cui Wittgenstein allude.
Tuttavia questa esplosione non potrebbe che avere anche che la luce e l’istantaneità del lampo.
Lampo in cui appare come nessuna parola o proposizione sia davvero adatta a dire il valore assoluto.
Per cui nello stesso lampo in cui il libro (paradossale e cioè impossibile) dell’etica distruggerebbe tutti gli altri libri del mondo facendone perciò vedere l’inadeguatezza al dire etico, si rivelerebbe insieme il nostro essere nella luce di questo lampo, nel sentire l’inadeguatezza di ogni dire.
Inadeguati forse al dire.
Ma nel lampo.
Cioè in una assoluta meraviglia. E al sicuro.
Cioè: a casa. Nel proprio ethos. Eticamente.
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