Ricordo bene: lo avevo capito…
I concetti si erano finalmente inanellati in fluida cogenza.
Il ragionamento si era dipanato esatto, sviluppandosi in tutti i suoi precisi minuziosi passaggi.
In nitida evidenza, passo passo, snodo dopo snodo, i grovigli aporetici, uno ad uno, li avevo sciolti, in perfetta sequenza. L’enigma, ora decifrato, aveva lasciato approdo alla conclusione. Il vero, finalmente illuminato, era lì: evidente. Un unico nesso includente premesse e conclusione, nell’articolata necessaria struttura del pensiero si era saldato e disposto.
Avevo finalmente capito (il teorema, la situazione, il senso di un gesto o una frase, l’essenza profonda di una persona…: una verità, insomma)
Dimenticanze
Lo avevo capito…
Ma ora – qui ora – ricordo solo null’altro che questo: che lo avevo capito.
Se cerco cioè ora su due piedi di rammemorare come ero arrivato a capirlo, magari perché tu me ne chiedi resoconto e ragione, se cerco ossia di ricordare in che modo vi ero arrivato e quindi cosa avevo esattamente capito, questo, qui ora, almeno per ora, me lo sono scordato.
Succede… Quando accade, capita dunque che al più mi ricordi la conclusione cui ero approdato, la tesi colta quale punto d’arrivo. Ma anche questo, persino questo, a volte, così su due piedi, mi sfugge.
Capita allora di essere certo che ne ero sì certo, ma non ricordo esattamente certo di cosa. Men che meno allora ricordo il decorso di tutti i passaggi del ragionamento nella precisa forma che avevo compreso: non ricordo i perché della conclusione di cui – lo ricordo – avevo raggiunta certezza.
Ne avevo – ricordo bene – avuta evidenza in idea chiara e distinta. Tenevo in pugno una verità. Che però ora, scordata, non tengo più.
Ci devo perciò di nuovo pensare. Quanto ora mi sfugge lo devo di nuovo riprendere…
La tela che avevo tessuto si disfa… La devo ritessere ogni volta di nuovo….La tela si tesse, si disfa, ritesse, ridisfa…
Volti… gesti… voci…
Cerco di ricordarmi quel volto… quel gesto.
Ma il ricordo è sbiadito.
Particolari mi sfuggono e, più ci penso – senza quei dettagli che ora non ricordo ma che erano quelli che gli davano la sua identità inconfondibile – quel sorriso, quel certo sguardo, non riesco più a prenderli nell’immagine del loro ricordo.
Quelle certe fattezze che cerco di far tornare alla mente – fattezze che avevano l’insostituibile pregnanza di senso cui tu rimandavi – me ne accorgo, nella loro precisa configurazione sono ora svanite dalla mia mente o al più solo vagamente accennate nel mio ricordo di esse….
Cerco di far risuonare dentro di me quella voce. Unica. Differente da tutte le altre. Ma non ci riesco.
Non ne ricordo più il timbro esatto. Non riesco a risentirlo dentro di me. Né riesco a farne risuonare dentro di me la cadenza precisa, né le inflessioni che la contraddistinguevano. Inconfondibile, il suono in cui consisteva era corpo di chi mi parlava (e interessava).
Com’era quell’odore così inconfondibile? Che atmosfera esattamente c’era in quel calore o frigore dell’aria? E quella luce com’era nel suo irripetibile cristallo? Com’erano esattamente quel toccarsi, abbracciarsi, salutarsi?
Non riesco a richiamarli alla mente così come erano. Anch’essi scordati…..
Tracce
Tutto ciò (le verità e le teoresi, parole e sensi, volti, sguardi, voci., odori, atmosfere, luci, con-tatti… e tutte le altre innumerevoli cose e esperienze vissute anch’esse ora dimenticate) è ora in qualche modo perduto.
Ma – come di ogni cosa perduta – la traccia di tutto ciò non è cancellata.
Quando penso che qualcosa sia infatti smarrito, per ciò stesso lo penso e questo pensarlo è ricordarlo. Il ricordo è la traccia che mi indica assenza. Ma l’assenza è ricordata, saputa.
Quanto ora più non ricordo, so di averlo dimenticato. Ossia mi ricordo di averlo scordato. Saperlo dimenticato – sapere che indica in traccia quanto ho perduto – non è non averlo più in vista. Se avessi dimenticato anche di averlo dimenticato, nemmeno saprei che ora un ricordo mi sfugge.
Il dimenticato – nel sapere di averlo scordato – non è cioè del tutto perduto: non è annullato.
Perciò nell’andirivieni dei pensieri e emozioni è possibile i ricordi ritornino e le cose ricordate riemergano. Se le reincontro, perciò le riconosco.
Quando ritesso perciò la tela del ragionamento, quando riesco a ripercorrerne i passi, constato: è lo stesso pensiero ed è la stessa la verità che riemerge.
Il volto pure (ritrovato in incontro, o in immagine…) perciò lo riconosco: è lui (o è lei).
Anche la voce, se e quando la risento, è inconfondibilmente quella stessa che prima non riuscivo più sentir riecheggiare.
Tutto ciò: che significa?
Ricordi
Inevitabilmente tutto quanto è vissuto è sempre (per sempre o per lunghi tratti di tempo) in un secondo momento dimenticato.
Questo lo so però solo perché peraltro a volte di quanto avevo dimenticato mi torna il ricordo e mi rendo così conto che (lo) avevo dimenticato. Anche quando so, lucidamente, di avere scordato qualcosa, so della dimenticanza in cui stanno la maggior parte delle cose vissute.
Quando mi sforzo così di ricordare le fattezze di quel volto, ma non ci riesco perchè non riesco a focalizzarlo, io so di averlo dimenticato. Ma ciò significa allora che – se so dunque che l’immagine che produco nel tentativo di ricordare non è quella che cerco e che dunque non trovo – devo peraltro anche sapere come dovrebbe essere quanto cerco di ricordare. Solo perciò posso giudicare il mio ricordo inadeguato. Solo perciò so che quanto vorrei ricordare è dimenticato (ed è solo perciò che se incrocio a tu per tu quel volto che ora mi sfugge lo riconosco).
Sia quando un ricordo fa riemergere il dimenticato, sia quando ricordo – in un ricordo che sfugge – il dimenticare stesso, il ricordato è sempre quindi dunque in qualche modo presente.
Quasi in qualche modo (in quale modo?), tutto quanto scordato sia invece ancora qui, già qui… abbia sempre continuato ad essere qui…
L’araldo del nulla
Se però dimentico di aver dimenticato – quando ciò accade – io allora del dimenticato non so più nulla, non so più davvero nulla.
La possibilità di questo oblio assoluto non è negabile.
Come potrei sapere – potendola quindi negare – di una cancellatura se anche la cancellatura fosse cancellata? L’oblio assoluto – in cui il dimenticato è risucchiato forse nel gorgo del nulla – non può quindi essere escluso.
Nell’oblio assoluto nulla potrebbe più essere concepito in qualche modo ancora presente. Nel suo essere assolutamente dimenticata ogni cosa equivarrebbe ad essere come non fosse mai apparsa.
Quanto dimenticato sarebbe allora sì davvero irrimediabilmente perduto, in una cancellazione in cui sarebbe come se non fosse nemmeno mai stato.
Tutto svanirebbe in un gorgo in cui tutto verrebbe inghiottito, suggellato nel suo essere come nemmeno mai esistito. In un dimenticare e dimenticarsi (di sè, svanente dimenticato e nemmeno più dimenticante) in cui non ci sarebbe nemmeno più la dimenticanza.
Vi sarebbe soltanto il nulla, di cui la dimenticanza non sarebbe perciò che, l’araldo.
Nulla di nulla
Ma nell’oblio assoluto – nel pensare (seppure non senza contraddizione) l’oblio assoluto – anche il dimenticare è assoluto. Anche la dimenticanza è perciò obliata e in questo dimenticare di dimenticare anche l’araldo del nulla è nulla.
Tutto, compreso il dimenticare araldo del nulla, è così inghiottito nel nulla che diventa tutto: ogni ente, ogni differenza, ogni traccia svanisce nel non esistere più, in un buio in cui tutto in realtà sarebbe come se non fosse mai stato.
Il contraccolpo: c’è essere
Finché il nulla lo penso, tuttavia, il nulla è ricordato. Dunque in qualche modo, seppure nell’aporia del nulla, comunque il nulla non è mai nulla, ma anch’esso è (ed è ricordato).
Nel nulla assoluto inoltre – nel non esservi assolutamente nulla di nulla – anche e innanzitutto del nulla non sarebbe più nulla. Nell’oblio assoluto neanche il nulla è assolutamente più nulla. Nell’assolutamente nulla, cioè si annulla anche il nulla.
Qui, giunto a pensare tale onnipervasività del nulla, il pensiero non può che avere il suo contraccolpo.
Se tutto è dimenticato, infatti, e se anche il dimenticare è quindi dimenticato, e se anche il sé (dimenticante) è dimenticato, non perciò il nulla c’è. Il nulla è nulla (il nulla si annulla).
Quando cioè il dimenticato è dimenticato, e il dimenticante dimentica pure il suo dimenticare, non c’è più dimenticato (così come, non essendovi dimenticato, nemmeno c’è più dimenticante), ma non perciò c’è nulla (chè il nulla non è).
C’è dunque essere.
Essere: non dimenticato, né ricordato: c’è quel che c’è.
Nel suo puro darsi qui e ora, c’è quel che c’è. Così come è. E così come accade.
E se c’è, qui ora, diventerà ricordato, diventerà dimenticato. Ma non è ora nè dimenticato e nè ricordato.
Dimenticare il dimenticare
Il volto scompare (il tuo volto scompare).
Non del tutto dimenticato perché non è ancora dimenticato il suo essere dimenticato.
Nel non averlo dimenticato anche di me – il dimenticante – ho ancora ricordo.
Ma sempre più svaniscono, sempre più evanescenti, i precisi inconfondibili tratti del volto. La sua fisionomia sbiadisce.
Non potrò che arrivare a dimenticare di averlo dimenticato…
L’enigma
Resta l’enigma.
Restano un dimenticare, e un dimenticare di dimenticare, che non sono il nulla.
Resta quel dimenticare di dimenticare, quell’essere già salvi fuori e prima di ogni ricordare e dimenticare, in cui sempre già siamo, nel nostro quotidiano esperire la presenza in cui, senza dimenticanze né ricordi, lo spettacolo del mondo, nel flusso della mia esperienza ed esistenza qui e ora semplicemente appare.
A me, che appaio.
***
Indecifrata e sola, so che posso
essere nella vaga notte una preghiera
di bronzo o la sentenza che racchiude
il succo d’una vita o d’una sera.
o il sogno di Ciuang tsu che già conosci,
o una data banale o una parabola
o un vasto imperatore, oggi poche sillabe;
o l’universo o il tuo segreto nome
o quell’enigma che scrutasti invano
lungo il corso del tempo e dei suoi giorni.
Tutto posso essere. Lasciami nell’ombra.
(Jorge Luis Borges)
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