« Un’immagine ci teneva prigionieri.
E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio, e questo sembrava ripetercela inesorabilmente. »
(Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche 115)
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Cervelli
Le neuroscienze, il sapere medico, i saperi scientifici in genere, il senso comune che per lo più mi guida nel mentre agisco e vivo la mia quotidianità, presuppongono un mondo in cui ci sono cervelli: pezzi di corpo in cui ha sede il pensiero, che dell’attività dei cervelli è in qualche modo l’effetto.
Io ho un cervello. Coscienza, emozioni, pulsioni, percezioni, pensiero sono lì racchiusi, nel cervello, senza il funzionamento del quale tutte queste esperienze non potrebbero esistere. Non potrebbero esistere come dimostra il fatto che al cessare dell’attività cerebrale tutte queste realtà svanirebbero e come dimostra il fatto che, se è vero che si può ritenere esistere cervello anche senza vita mentale (per esempio nel coma profondo), non sembra però poter esserci alcuna vita mentale senza base materiale di supporto, senza cervello in attività.
Non c’è perciò vita mentale senza cervello.
Questa convinzione – si pensa – si fonda su fatti. Fatti ritenuti, nella visione ingenua che guida la nostra quotidianità, semplicemente banalmente esperiti. Fatti sperimentalmente fondati con avvedutezza metodologica nel caso dei saperi scientifici.
Ciò di cui davvero mi avvedo
C’è dunque il cervello, c’è la materia di cui è fatto, c’è la sua attività che si sviluppa e che via via lo configura nelle sue fisiologiche cangianti forme. C’è il cervello, come posso vedere se assisto a una dissezione anatomica un cui posso anche vederlo e toccarlo o come me lo mostrano dispositivi tecnici sempre più sofisticati e precisi (dagli elettroencefalogrammi alle tomografie) che consentono in qualche modo persino coglierlo nel suo funzionamento.
C’è il cervello. Sappiamo che è qui, nella testa. Quasi lo sentiamo che c’è ed è lì. Riteniamo che là dove sta ci siano materia grigia, neuroni, sinapsi e tutto ciò che di altro vi è in esso.
Tuttavia tutto ciò (materia grigia, neuroni, sinapsi…), tutto quanto è descritto dalla fisiologia, tutto ciò di cui sappiamo e che siamo convinti vi sia lì nella testa, dentro il cervello, in realtà – si badi bene – non lo esperiamo.
Non lo esperiamo cioè in quanto tale, Ciò che viviamo e percepiamo davvero è altro. So che nel cervello ci sono neuroni e sinapsi. Ma tutto ciò non lo sento. Non sento il neurone, non percepisco sinapsi. Ciò che percepisco è altro e altro rimane anche se lo interpreto come effetto dei meccanismi fisiologici del mio cervello.
Quando e qualora osservo il mio cervello e quel che vi accade, per esempio attraverso apparati diagnostici, tutto ciò perciò non posso che vederlo come oggetto posto di fronte, lo vedo da fuori.
Se pure penso che quanto lì accade determini l’epifonemono in cui la mente consisterebbe, quello che vivo è però altro, è tutt’altro.
Quanto davvero vivo è perciò la mia mente, l’esperienza mentale. Per quanto la ritenga emergente dalle funzioni cerebrali è di questo emergente – è del mentale dunque – che, coscientemente, davvero mi avvedo.
“Un’immagine ci teneva prigionieri…” (Ludwig Wittgenstein)
In realtà, nel descrivere tutte le apparenti ovvietà circa il cervello che mi sta nella testa, siamo innanzitutto di fronte a un’immagine .
Questa immagine espone una scena: la scena del mondo evidenza immediata al senso comune e allo sguardo scientifico. In questa scena si dispongono – nell’immagine – i corpi nelle loro estensioni consistenze vibrazioni. All’interno di alcuni di questi corpi – questa è la scena – c’è un pezzo di corpo (lo so, è lì, nello spazio cavo dentro la testa), il cervello, grazie al quale la scena è avvertita.
Nel mondo che l’immagine inscena un contenitore (il cervello) quindi conterrebbe un contenuto, l’immagine stessa, entro il quale il contenitore (cioè il cervello) non è però che un oggetto tra gli altri, non è che una parte in scena. Il cervello nell’immagine è un oggetto fuori tra gli altri. Ma è concepito come il dentro da cui proviene l’immagine. Nella scena il cervello è concepito in contatto in qualche modo col resto del mondo, che ne sarebbe dunque – del cervello – l’oggetto che se ne sta fuori di esso, altrove dalla mia testa. Ma questo altrove è concepito anche come un contenuto dentro il cervello, il quale cervello è inoltre in qualche modo pure produttore e contenitore di tutto quanto è nell’immagine esposto.
Ma questa scena – fermamente creduta, nel senso comune e nella visione scientifica standard, fotografia del reale – in verità è, abbiamo visto, appunto un’immagine, ossia un contenuto mentale. E un costrutto mentale, elaborazione costruita sulla base di quanto immediatamente si mostra, in quanto appunto è un costrutto, non collima mai con quanto immediatamente – non costrutto – si mostra.
Non è infatti questa la scena immediata in cui l’evidenza si staglia. Scena immediata è quanto si apre e si mostra all’apparire trascendentale in cui io consisto.
In questo apparire io sono il centro e la scena immediata si apre dal mio punto di vista, punto cieco in cui si espone orizzonte. Qui è immediatamente nota la manifestazione del mondo. Prima e al fondo, a priori trascendentale, di ogni sapere e agire è la notizia di sè che il mondo dà nel manifestarsi. Scena immediata è l’apparire del mondo.
E’ qui, nell’apparire del mondo – entro l’apparire trascendentale, che io (corpo-mente psicosomatico) sono – che appare il cervello che sta nell’immagine.
Fatti (e parole)… Parole (e fatti)
Si può obiettare che il cervello in quanto tale, in quanto organo corporeo non è la sua immagine. Ha tangibilità, che la sua immagine, aperta nello spazio mentale, certo non ha.
Eppure, resta evidenza che “corpo”, “cervello”, “fatto” “mondo” sono innanzitutto – nel mio intenzionare quanto esse indicano – parole, riferite a contenuti rappresentativi pensati. Tra queste c’è appunto anche la parola “cervello”, riferita a un concetto. Ed è evidenza che parlare e dire del cervello organo corporeo è innanzitutto un parlarne, un dirne e in questo suo essere in tal modo concepito cervello è evidentemente un contenuto mentale, riferito ad altro ritenuto tangibile. Ma questo altro, nel pensarlo e nel dirne, non si mostra nell’immediatezza in cui consiste il dirne. E’ solo supposto esistente altrove dal dirlo.
Se si può perciò certo dire che ci sono i fatti tangibili (tra questi il cervello) che sono ben altro che labili immagini o evanescenti parole, sottolineando tra l’altro che che anche dire è un fatto, è evidenza che dire tutto ciò (che ci sono i fatti che non sono parole, ecc…) è però innanzitutto un dire, in cui “fatto” (come qualsiasi altro detto) è parola riferita a un concetto. E’ cioè contenuto rappresentativo. Ossia evento mentale, quel fatto (il fatto in cui consiste l’evento mentale) in cui appare l’immagine del mondo in cui il cervello è oggetto in cui il mondo trova riscontro.
Il problema
Se da un lato dunque la mente è concepibile come parte del cervello, in quanto il cervello la produce e contiene, ma anche la eccede nella misura in cui il fisiologico non viene in quanto tale immediatamente avvertito a livello mentale; il cervello è d’altra parte un contenuto tra altri, dunque una parte, di quanto appare entro il mentale.
Qui si annida un (gran bel) problema….
(…continua…)
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