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- Anche Socrate… maschera
Socrate, anch’egli maestro, il raziocinante sempre sobrio Socrate, sembra – così è stato spesso inteso – opporsi, alternativo, a Dioniso. Ma anche Socrate – in realtà a ben vedere – è maschera.
Figura stilizzata, personaggio di dialogo da Platone drammatizzato. Personaggio celato dietro l’ironia, che doppiamente lo maschera, anche Socrate è maschera anfibia, ha un dentro e un fuori
Nel Simposio Alcibiade tutto ciò lo esplicita: Socrate sotto la sua bruttezza fisica (la sua maschera appunto) cela ben altri tesori.
- Maieutica : il segreto e il dio
Che mai siano tali tesori è il segreto di Socrate, sono il suo fascino.
E grazie a questo fascino, mosso da un imperativo che lo chiama e inquieta, Socrate intesse discorsi, dialoga. Grazie al suo fascino nel dialogo un’energia scorre e lega gli interlocutori nel desiderio (nella “philìa) per la luce (la sophia) che apre e disloca là ove ha scaturigine quanto, in germe celato, ora non-nascosto (la a-letehia), viene alla luce, nasce.
Socrate fa perciò partorire, è ostetrico. Ma “dell’assistenza ostetrica responsabili siamo io e il dio”, così sentenzia Socrate nel Teeteto.
Anche nell’ammaestramento di Socrate – come con Dioniso – è perciò coinvolto un dio. Il maestro ostetrico quindi non solo orchestra, ma quindi incontra l’Altro (cui il dio allude).
- Nessuno padroneggia il gioco
In questo incontro con quanto Altro è quindi dal maestro non già saputo e non prevedibile, anch’egli – anche il maestro – si trasforma, impara.
Punto perciò di riferimento per quel che dice ed esplicitamente insegna, ma anche per quel che fa e sembra (per quel che perciò si pensa sia), poiché c’è di mezzo il dio il maestro attinge anche ad altro da quel che mostra, non padroneggia del tutto il gioco.
Anche perciò il maestro scompare, ritratto dietro la maschera, dietro ciò che insegna, serbando la differenza tra l’insegnamento dell’esempio accolto come modello e quanto il maestro è per davvero.
Chi egli sia, e che non padroneggi il gioco, e che nel gioco anche il maestro evolva, tutto ciò è bene resti nascosto. Deve restare nascosto proprio per alimentare il desiderio verso il maestro Socrate.
Il maestro Socrate, cui non è estranea una frenesia nascosta (un daimòn, addomesticato forse, che però anche rimanda a Dioniso) che ne innerva e muove il ricercare e chiedere. Ma proprio questa inquietudine rende non prevedibili le emozioni che anche il maestro innervano. Dietro tutte le rispettive maschere, tutti i poli (il maestro, il discepolo) in gioco così si riconfigurano.
Trasformandosi il maestro anche impara, l’ammaestrato imparando cambia.
- Lo specchio
Socrate dunque lo mostra: il maestro deve essere maschera.
Deve dissimulare, perché solo se nascosto dietro un’interfaccia può venire eretto a modello e guida. Se nella maschera socratica il maestro perciò si espone, insieme dietro vi si nasconde. Solo presentandosi il maestro in tal modo indiretto e obliquo, chi lo riconosce quale maestro può così proiettare in lui di sé quanto più conta e è serio.
Nella maschera del maestro si rispecchia così incarnato lo stare e sostare nella tensione della ricerca in cui il discepolo sta. Ricerca che anche il maestro ha, a suo tempo, già intrapresa, per cui nella maschera del maestro la prospettiva di raggiungere ciò cui si agogna (quindi almeno quel tanto che il maestro mostra si possa giungere a sapere) è aperta. Può persino dare il maestro sponda qualora, nella ricerca del vero che col maestro si intraprende, si profilino momenti di scoraggiamento o impasse, caricando su di sé (sulla sua maschera) il riconoscimento della necessità del dubbio e del turbamento, ma anche mostrando come sia possibile reggere questa situazione e andare proficuamente avanti.
Sotto più lati, nella maschera socratica del maestro si specchia così il discepolo.
Questo è il maestro: una maschera che fa da specchio.
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