Quando non vi è più acqua
non vi è più luna-nell’acqua,
e lo stesso quando non c’è luna
( Watts, “La via dello zen”)
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Legata alla Notte (anche quando – come talvolta accade, accentuando in tal modo il suo enigma – appare di giorno) è la Luna.
La Luna – diversamente dal Sole – si lascia guardare e fissare. Apparentemente perciò presenza accessibile e familiare, in realtà se ne sta lì, indifferente alla mia vita. Accompagnatrice sospesa su me, straniera attrae lo sguardo a sé nella notte. Una e unica (come unica è la mia esistenza) solitaria eremitica, capta attenzione. Attraente, stregante, enigmatica ammalia.
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La Luna sembra ferma, ma invece si muove – lentamente si sposta, e si trasforma: si alza e tramonta, nel suo ciclo calante o crescente, si espande e contrae (come i ritmi delle mie intensità ed energie)
All’ingrandirsi del suo disco sembra avvicinarsi. Sempre però resta imprendibile, troppo lontana.
Sembra presenza costante, ma nel novilunio anche scompare, dando peraltro in tal modo presenza anche all’assenza.
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La Luna può apparirmi un foro da cui esce luce. Mi sembra allora un varco, spiraglio che attrae. Attrae verso chissà.
Ma ciò è illusione.
La Luna dà linfa ai lunatici, alimenta le malinconie. Nella sua luce lattea le cose diurne restano identiche, ma rivelano avere altri lati: spettrali, essenziali, più folli: di una calma follia.
In calma inquietudine rimanda ad un altrove, a un inconsueto, a un non qui. Perché la sua luce si spande sì, ma è luce riflessa. Rispetto allo splendore del Sole, la sua luce è pallore. Allude ad altro: a un sole nascosto.
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La Luna si specchia. Si specchia nei pozzi. Si specchia tremante nell’acqua (…nell’acqua alta a Venezia quella notte d’inverno…)
A mia volta nella Luna mi specchio: ne sento l’inquietudine ipnotica del lento spostamento nella luce dell’apparire in cui io consisto.
Quando incontriamo la Luna, Altra che come me ad altro rimanda, spaesamento mi turba.
Associata al femminile, pensata deposito del senno perduto, vicina lontana, perciò è il perturbante in cui incontro il me stesso straniero.
Ciò (mi) perturba.
Il (più )perturbante è la Luna
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Perturbante. Quale ciò che più ci è vicino e peraltro distante, ciò che è qui e ora ma sempre sfuggente: ciò che è me, ma anche altrove e davanti.
Perturbante è il nostro stare nel mondo. Perturbante è quindi l’essere a noi i sé stessi.
Alcuni incontri perturbano..
Tra le presenze, perturbante è chiunque luna….
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[Unheimliche: “Perturbante” è traduzione di Unheimliche: quanto secondo Freud induce al timbro emotivo di inquietante spaesamento che ci turba nel percepirlo stranamente vicino ma insieme estraneo e lontano. Nello stesso momento, nel perturbante, nella stessa e identica inquietante esperienza, l’inconsueto, il nuovo, quanto ci era ed in fondo ci resta pur sempre lontano, lo percepiamo anche come a noi familiare. Ciò è il perturbante. Perturbante è ad esempio – su ciò Freud si sofferma – l’idea dell’incontro con il proprio sosia, o l’idea che qualche polverina magica ci privi di vista. Ma perturbante è poi qualsiasi esperienza in cui qualcosa (oggetto o situazione) o qualcuno (anch’esso in fondo, se pur nel suo essere un chi e non solo qualcosa, pur sempre oggetto in una situazione) innesca la coscienza di aver a che fare con l’incontro con un a noi vicino che ci è estraneo (come può esserlo un sosia di fronte a noi, secondo il primo esempio da Freud approfondito), o con una vicinanza che ci sfugge (alla vista accecata in modo imprevisto, come ad esempio nel secondo caso scelto da Freud).]
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