- II non-gioco
Il giocare è la dimensione su cui si impianta ogni forma successiva di attività regolata.
Ma la maggior parte di tutte queste altre forme di agire – in qualche modo derivate dall’agire originario consistente nel gioco – nell’adulto per lo più però si configurano, anche per la necessità dell’adulto di staccarsi dalla dimensione infantile, come non-gioco.
Se cioè anche persino le attività più serie e terribili tuttavia sono in fondo dei giochi – già solo per il fatto di essere, ognuna e ognuna diversamente dalle altre, attività strutturate di regole – tra tutte queste forme, però solo alcune (alcune specifiche attività, per lo più del tempo libero) sono definite esplicitamente, nel mondo adulto, come dei “giochi”.
Un tutto quindi (la forma-gioco) si articola sempre più, nel passaggio dall’infanzia al mondo adulto, in più differenti forme, le quali però poi sono interpretate e definite come negazioni di ciò (il gioco) che ne è la loro genealogia e di cui sono figure.
Negandosi come giochi, occultando il loro essere purtuttavia forme di gioco, queste strutture d’azione regolata si stabilizzano sempre di più in sistemi sempre più rigidi di regole nel mondo sociale.
Per dare stabilità e sicurezza, per chiudere spazio al rischio (ma perciò anche alla libertà e all’avventura connesse al fatto, che se si gioca, il gioco può essere sempre interrotto e altri giochi imprevisti possano sempre proporsi) occultano il loro essere (pur sempre) gioco.
I giochi stabilizzati (istituzionalizzati) si pongono (e impongono) così come non-gioco.
- Il richiamo
L’homo ludens però reclama il suo diletto: inventa – quando può, nel tempo libero – perciò sempre nuovi spazi in cui tornare al gioco. Inventa sempre (altri) giochi, pur circoscrivendoli in uno spazio di non-serietà.
In un frammento (lo spazio non serio di ciò che è esplicitamente ritenuto gioco nel mondo adulto) emerge in tal modo, per quanto ai margini e disinnescata, la verità della ludicità essenziale della cultura umana.
Seppur denegata, tale ludicità insiste. Tende ad espandersi.
Per quanto tendenzialmente riassorbito nello spazio del non-gioco (tutti i giochi per esempio tendono prima o poi ad avere mercato, ad alimentare lavoro, economia, tecnologia) il richiamo alla ludicità resiste, quale controtendenza e appello.
- Lo spicco
Affinché vi sia il suo richiamo, il gioco deve però essere inquadrato, riconosciuto. Deve prendere spicco.
Bateson sottolinea che, perché ciò sia, serve metacomunicazione la quale, riguardo a ciò che si sta facendo (e quindi comunicando), ne sveli, qualora lo sia, l’essere (nulla più che) un gioco. I giochi infatti, azioni fittizie che al più simulano azioni reali, sono qualcosa che non è quel che sembra. Nel gioco cioè deve essere sempre possibile che chi sta agendo e comunicando in esso possa, volendo, poter affermare: “Questo è un gioco“, evidenziando la consapevolezza che l’azione in atto è in realtà fittizia.
La metacomunicazione disloca così l’azione nello spazio del gioco e la etichetta appunto come mossa di un gioco. Ma così è, insieme, anche rivelazione che esiste il gioco.
- Il gioco del metalinguaggio
Metalinguaggio è anch’esso linguaggio, in cui la pervasività del linguaggio è ribadita.
Ma se, come sostiene Wittgenstein, il linguaggio è giochi linguistici, anche il metalinguaggio che svela la natura di gioco è uno di questi giochi. Nell’individuare, nel metalinguaggio, la specificità del gioco, quindi è insieme ribadita l‘onnipervasività del gioco. Attraverso l’attribuzione dello status di “gioco” agli specifici giochi degli adulti e dei bambini, il “gioco” in cui tutto consiste, l’onnipervasività del gioco (il gioco cosmico), così insieme e contemporaneamente si rivela e si nasconde.
Nel riconoscere la specificità del gioco, specchio in cui il tutto si riflette (e ammicca), parte in cui il tutto emerge, fa cenno il gioco cosmico. Ma nel mondo istituzionalizzatosi come serio tutto ciò è obliato. Il gioco non può mostrarsi, se non relegato ai margini.
- Ibridazioni e piani
Perché il gioco è sempre anche sperimentazione, dunque libertà e rischio, in cui altri lati del mondo e altri aspetti del sè entrano, appunto, in gioco.
Io voglio giocare. Vedere il gioco. Nel diletto e la levità concentrata in cui il gioco consiste, io gioco.
Gioco le mie carte. Chi vuole giochi la sua. Giochiamo, come si gioca. Ossia liberamente.
Non dentro un solo gioco che, se unico e solo, non è più gioco, ma mondo soffocante serio ove tutto va ridotto a lavoro, all’utile, all’economico, al drammatico.
Il gioco cosmico, il gioco, è proliferazione e ibridazione, di piani e giochi.
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